Cannabis e ricerca universitaria: dove siamo in Italia?

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Cannabis e ricerca universitaria: dove siamo in Italia?

Introduzione

Nel 2025 parlare di cannabis in Italia è ancora, incredibilmente, un atto rivoluzionario. Nonostante l’evidenza scientifica e il crescente interesse globale verso le potenzialità terapeutiche, industriali e sociali della pianta, il nostro Paese continua a barcamenarsi tra il proibizionismo d’antan e la timida apertura legislativa. Ma cosa succede nei luoghi dove si dovrebbe fare scienza, ricerca, innovazione? A che punto siamo con la ricerca universitaria sulla cannabis in Italia?

Spoiler: siamo messi meglio di dieci anni fa. Ma peggio di qualunque Paese che voglia definirsi moderno.


Normativa vigente: tra leggi confuse e ostacoli burocratici

In Italia la ricerca sulla cannabis è formalmente consentita, ma nella pratica è bloccata da una selva di autorizzazioni, burocrazia e interpretazioni restrittive. La legge 242/2016 ha aperto alla coltivazione di canapa industriale con THC < 0,2% ma ha ignorato completamente il tema della ricerca universitaria e sperimentazione scientifica.

La normativa sugli stupefacenti (DPR 309/90) rimane il principale ostacolo: la cannabis è ancora nella Tabella I delle sostanze, insieme a cocaina ed eroina. Per ottenere cannabis da utilizzare in ambito accademico o medico, occorrono autorizzazioni dal Ministero della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’AIFA, e spesso anche dai NAS. Il risultato? La ricerca si fa altrove.


Le poche isole felici della ricerca italiana

Nonostante tutto, alcune università italiane hanno intrapreso percorsi virtuosi:

  • L’Università di Napoli Federico II ha avviato corsi dedicati all’uso terapeutico della cannabis, coinvolgendo farmacologi, agronomi e medici.
  • L’Università di Modena e Reggio Emilia ha sviluppato progetti sulla genetica della pianta e sugli estratti a uso cosmetico.
  • L’Università di Bologna ha pubblicato diversi studi su cannabinoidi e infiammazione.

Ma si tratta di iniziative isolate, spesso autofinanziate, portate avanti da ricercatori coraggiosi che camminano sul filo sottile tra scienza e infrazione.


Chi finanzia (e chi blocca) la ricerca

Lo Stato italiano finanzia con il contagocce la ricerca sulla cannabis. La maggior parte dei fondi arrivano da:

  • Progetti europei
  • Fondazioni private
  • Collaborazioni con aziende estere

Ma qui sorge il paradosso: l’Italia forma talenti che poi fuggono all’estero per continuare a fare ricerca su una pianta che nel frattempo cresce… negli scaffali dei growshop.

E chi la blocca? Le lobby proibizioniste, l’ignoranza diffusa e la paura della politica di sembrare “troppo aperta”. Perché in Italia, si sa, tutto è ideologico. Anche la scienza.


I ricercatori: tra passione e frustrazione

Intervistando alcuni giovani dottorandi italiani, emerge un sentimento comune: entusiasmo per il potenziale della pianta, ma frustrazione totale per le limitazioni burocratiche.

“Vorrei studiare il cannabidiolo su pazienti con epilessia, ma per ottenere i campioni servono mesi, autorizzazioni multiple e spesso il permesso arriva… quando il progetto è già scaduto.”

Molti optano per la migrazione scientifica verso la Spagna, il Portogallo, la Germania, il Canada o Israele: Paesi dove la cannabis è un oggetto di ricerca, non di stigma.


Dove potremmo essere (se solo volessimo)

L’Italia ha un clima perfetto per la coltivazione, un patrimonio genetico unico (Carmagnola, Futura 75, ecc.), una filiera industriale in potenza e centri universitari all’avanguardia. Potremmo essere un hub europeo della ricerca sulla cannabis.

E invece siamo fermi. Con le università costrette a “camuffare” i progetti sotto altri nomi, con bandi pubblici che escludono esplicitamente le parole “cannabis” e “THC”, e con professori che si autocensurano.


Conclusione: consigli pratici per chi vuole fare ricerca

  • Unisciti a reti internazionali: spesso è più facile collaborare con un’università portoghese che ottenere il via libera dal Ministero.
  • Trova aziende private illuminate: alcune aziende italiane (poche) finanziano ricerche per motivi etici e commerciali.
  • Camuffa i progetti, purtroppo: chi fa ricerca sa come “denominare” in modo creativo le proprie aree di studio. Finché il sistema non cambia, ci si adatta.
  • Continua a lottare: ogni tesi, ogni articolo scientifico, ogni seminario è un passo verso la normalità. Non è solo scienza. È anche resistenza.

In Italia, la cannabis è ancora un tabù scientifico. Ma ogni laboratorio che accende una lampada sul tema è una scintilla nella nebbia del proibizionismo. E noi, da Canapalandia, continueremo a raccontare queste scintille. Perché la ricerca, quella vera, non teme il fumo. Lo studia.


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Disclaimer legale: I contenuti presenti in questo articolo hanno esclusivamente scopo informativo e divulgativo. Canapalandia non promuove né incita a pratiche contrarie alla legge italiana. Si invita ogni lettore a informarsi sulla normativa vigente e ad agire sempre nel rispetto della legalità.

Per informazioni o segnalazioni puoi contattarci a info@canapalandia.com.

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