Processo EasyJoint: assolto Luca Marola. Sei anni per nulla?

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Processo EasyJoint: assolto Luca Marola. Sei anni per nulla?

Introduzione

Un giorno, in Italia, finirà l’assurdità del proibizionismo. Ma oggi non è quel giorno.

Oggi è, però, il giorno in cui possiamo dire con certezza che Luca Marola è stato assolto. Dopo sei anni di processo, il fondatore di EasyJoint, la prima realtà italiana ad aver portato la cannabis light sugli scaffali, è uscito dal Tribunale di Parma con una frase che suona come una liberazione: “il fatto non sussiste”.

Sei anni per nulla? No. Sei anni per dimostrare che anche quando si ha ragione, in Italia, se parli di cannabis, finisci lo stesso in tribunale. Una storia tutta italiana: infiorescenze legali trattate come droga, imprenditori trattati come spacciatori e milioni di euro andati in fumo (letteralmente).

Questo articolo racconta, con il nostro stile, ironico ma indignato, i dettagli di un processo che non sarebbe mai dovuto iniziare. E quello che possiamo imparare per il futuro della cannabis legale in Italia.


Normativa vigente: la legge c’è. Ma spesso la ignorano.

Nel 2016, con la Legge 242, l’Italia ha aperto alla coltivazione della canapa industriale con THC sotto lo 0,2% (fino allo 0,6% per tolleranza). Una legge chiara? Neanche per sogno.

In teoria, si può coltivare. In pratica, se coltivi ti guardano male. Se vendi, ti sequestrano tutto. Se informi, ti indagano.

La cannabis light è stata trattata per anni come un reato camuffato. La legge esiste, ma le forze dell’ordine e molti magistrati continuano a interpretarla a piacimento, ignorando certificazioni, analisi chimiche, tracciabilità e regole europee.

Ecco perché, nel luglio del 2019, scatta il sequestro di 650 kg di infiorescenze e si apre il processo a Luca Marola e EasyJoint. Il tutto, con tanto di richieste di condanna a quasi cinque anni di carcere e 55.000 euro di multa. Per cosa? Per aver venduto prodotti legali.


EasyJoint: da pionieri a imputati

Quando nel 2017 nacque EasyJoint, molti guardarono con scetticismo quel barattolino trasparente con dentro fiori verdi a basso THC. Marola lo presentò così: “La cannabis legale si fuma. Punto.” Ne avevamo parlato anche qui.

Quel gesto fu una rivoluzione culturale, che aprì la strada a centinaia di negozi in tutta Italia, dando lavoro a migliaia di persone. EasyJoint fu la miccia che accese la filiera italiana della canapa light, mettendo la parola cannabis in vetrina senza paura.

Ma il proibizionismo, si sa, è vendicativo. E così, nel 2019, le forze dell’ordine irrompono nei punti vendita EasyJoint e sequestrano tutto. L’accusa? Detenzione ai fini di spaccio.

Sì, avete letto bene: spaccio. Per canapa certificata, venduta con tanto di scontrino fiscale. Roba che neanche nei peggiori anni ’80.


Cosa si è detto in aula: i punti chiave del processo

Durante il processo, la difesa – guidata dagli avvocati Giacomo Bulleri e Alessandro Gamberini – ha smontato con precisione chirurgica il castello accusatorio:

  • Le analisi dimostravano che i prodotti avevano tenori di THC entro i limiti di legge.
  • I documenti di acquisto e tracciabilità erano regolari e conformi alle normative europee.
  • L’azienda era fiscalmente registrata, con dipendenti, contratti, e tutto alla luce del sole.

Alla fine, la verità è emersa: non c’era nessun reato. Solo un’azienda legale, colpita da un sistema che confonde la legalità con il sospetto.

Il giudice ha quindi stabilito: assoluzione con formula piena.

“Hanno distrutto la principale azienda della cannabis light italiana, due milioni di euro di magazzino, sei anni surreali. Qualunque riforma della giustizia non può prescindere dalla responsabilità civile dei magistrati.”
— Luca Marola


Il danno economico e culturale

Il processo a EasyJoint non ha colpito solo Luca Marola, ma ha mandato un messaggio a tutto il settore: anche se rispetti la legge, sei a rischio.

  • Sono stati bruciati milioni di euro di prodotti.
  • Decine di lavoratori hanno perso il posto.
  • La filiera della canapa ha subito un colpo durissimo alla sua credibilità.

Nel frattempo, lo Stato ha incassato le tasse che EasyJoint ha pagato. Ironia della sorte: un’azienda viene processata dallo stesso Stato che ne ha beneficiato economicamente.

Il danno è anche culturale: si è alimentata una narrativa ambigua, che mette in dubbio la legalità di un intero settore. Una strategia perfetta per mantenere la cannabis nel limbo dell’illegalità percepita, pur restando tecnicamente legale.


La reazione del settore

Il giorno dell’assoluzione, il mondo della canapa ha tirato un sospiro di sollievo. Ma nessuno canta vittoria.

Molti attivisti e imprenditori hanno sottolineato che non si tratta di una vittoria, ma di una tardiva restituzione di giustizia. Perché sei anni di attesa non si cancellano con una sentenza.

La speranza è che questa assoluzione diventi un precedente importante, che impedisca in futuro simili abusi.


Come difendersi da un sistema confuso (e pericoloso)

L’assoluzione di EasyJoint non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Serve maggiore chiarezza normativa, serve una riforma profonda della giustizia in tema di cannabis, e serve soprattutto una rivoluzione culturale.

Nel frattempo, ecco qualche consiglio pratico:

  • Traccia tutto: ogni lotto, ogni seme, ogni spostamento. Come se dovessi dimostrare tutto davanti a un giudice.
  • Consulta un avvocato prima di fare impresa: non basta sapere coltivare, devi sapere difenderti.
  • Fai rete: con associazioni, attivisti, aziende. Uniti si sopravvive meglio alle tempeste legali.
  • Comunica, educa, smonta i miti: la paura nasce dall’ignoranza, e l’ignoranza si combatte con la conoscenza.

Conclusione: chi risarcisce chi?

La vera domanda, ora che il processo è finito e Luca Marola è stato assolto, è: chi ripaga EasyJoint per tutto quello che ha perso? Chi ridà indietro sei anni di attese, spese legali, diffamazioni, clienti persi, sogni infranti?

In un Paese civile, un errore giudiziario di questa portata dovrebbe comportare scuse pubbliche e risarcimenti immediati. Ma qui siamo in Italia, e la macchina della giustizia non chiede mai scusa.

Eppure qualcosa si è mosso. La sentenza ha fatto rumore. Ha fatto parlare i giornali. Ha ridato voce a chi da anni dice che la cannabis non è un crimine.

Quindi no, non sono stati sei anni per nulla. Sono stati sei anni di resistenza. Sei anni che hanno smascherato un sistema miope. Sei anni che ci ricordano perché Canapalandia esiste: per raccontare, denunciare e costruire un futuro in cui nessuno venga più processato per un fiore legale.

La cannabis è una pianta. Il proibizionismo è una scelta. E noi abbiamo già scelto da che parte stare.


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Disclaimer legale: I contenuti presenti in questo articolo hanno esclusivamente scopo informativo e divulgativo. Canapalandia non promuove né incita a pratiche contrarie alla legge italiana. Si invita ogni lettore a informarsi sulla normativa vigente e ad agire sempre nel rispetto della legalità.

Per informazioni o segnalazioni puoi contattarci a info@canapalandia.com.

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