Domani è il Primo Maggio, la Festa dei Lavoratori. Una giornata di celebrazione, di memoria, di diritti. Ma per migliaia di operatori italiani della filiera della cannabis light, sarà una giornata amara. Invece di marciare a testa alta per rivendicare dignità e progresso, molti si ritroveranno a contare le perdite, a chiudere le serrande, a comunicare licenziamenti. Perché il lavoro, quando profuma di canapa legale, improvvisamente smette di essere un diritto.
Una filiera giovane, legale e in crescita
Negli ultimi anni la cannabis light ha rappresentato uno dei pochi settori realmente dinamici del panorama economico italiano: agricoltori che hanno riconvertito i campi, imprenditori che hanno investito in tecnologie e trasformazione, giovani professionisti coinvolti in grafica, marketing, e-commerce, ricercatori, tecnici di laboratorio, addetti alla logistica.
Una filiera giovane, sostenibile e intergenerazionale che ha rimesso in moto territori marginalizzati, creando un indotto virtuoso. Secondo le associazioni di categoria, oltre 3.000 aziende erano coinvolte in qualche fase della produzione o distribuzione di prodotti a base di CBD, generando un giro d’affari annuo superiore ai 150 milioni di euro.
E tutto questo, parliamoci chiaro, senza sballare nessuno.
Il decreto che distrugge il lavoro legale
Poi è arrivato lui: il Decreto Sicurezza. Con un tratto di penna ha equiparato la cannabis light alle sostanze stupefacenti. Poco importa che il CBD non sia psicoattivo, che la giurisprudenza europea lo abbia già definito legale, che l’OMS lo consideri sicuro, e che milioni di cittadini lo usino come integratore per dormire, rilassarsi o calmare l’ansia.
In nome della “tolleranza zero”, il governo ha deciso di azzerare un intero settore, lasciando per strada imprenditori, dipendenti, famiglie. Ma volete mettere la soddisfazione di aver finalmente protetto l’Italia… dalle tisane alla canapa?
Un danno concreto: altro che slogan
Chi pensa che si tratti solo di “negozietti alternativi” probabilmente non ha mai parlato con chi ha aperto un’attività con le proprie forze, senza contributi pubblici, e ora rischia di fallire. Non si tratta di fumatori. Si tratta di padri di famiglia, donne imprenditrici, giovani che hanno scelto la legalità anziché il nero, agricoltori che hanno riconvertito ettari abbandonati.
A loro, lo Stato dice: “Avete sbagliato a credere nella legge. O peggio: nella speranza.”
Primo Maggio: chi tutela chi lavora davvero?
Domani si parlerà tanto di diritti. Si faranno discorsi nei cortei, si canteranno Bella ciao e L’Internazionale. Ma quanti, su quei palchi, si ricorderanno di chi il lavoro l’ha perso non per una crisi economica, ma per una scelta politica?
Chi dirà pubblicamente che in Italia il lavoro è un diritto… a patto che non abbia a che fare con una pianta?
Conclusione
Nel giorno della Festa dei Lavoratori, dedichiamo un pensiero a chi ha visto il proprio futuro svanire non per colpa di un mercato in declino, ma per colpa di uno Stato che preferisce proibire invece che comprendere.
Ricordiamoci che la libertà di lavorare non può dipendere dall’odore delle piante che coltivi.
Buon Primo Maggio. A chi lavora, a chi resiste, a chi coltiva speranze. Anche se sanno di canapa.