Il CBD? Ora è (quasi) uno stupefacente. E il TAR dice: va bene così

Illustrazione satirica con un giudice che impone una ricetta medica non ripetibile per farmaci a base di cannabis

Il TAR del Lazio, con sentenza del 16 aprile 2025, ha confermato: l’olio di CBD orale, anche se privo di effetti psicoattivi, va trattato come un farmaco soggetto a prescrizione medica non ripetibile. Una decisione che, di fatto, equipara un integratore naturale a uno stupefacente (Quotidiano Sanità).

Il TAR ha respinto il ricorso dell’associazione Canapa Sativa Italia contro il decreto del Ministero della Salute del 27 giugno 2024, che inseriva le preparazioni orali a base di cannabidiolo (CBD) da estratti di cannabis nella Tabella dei medicinali – sezione B. Addio libera vendita in negozi, erboristerie, parafarmacie o online. Per acquistare un olio al CBD serve ora:

  • prescrizione medica
  • una visita ad hoc ogni volta (la ricetta non è ripetibile)
  • una farmacia galenica che lo prepari

La scusa del principio di precauzione

Secondo il Ministero e il TAR, l’imposizione di questo vincolo è giustificata dalla possibilità che nelle preparazioni possano essere presenti “tracce di THC”. Una minaccia talmente vaga che nessuno studio scientifico serio ha mai dimostrato essere pericolosa (Dolcevita Magazine).

Il TAR ha deciso che questo basta. E che non serve dimostrare l’effettiva tossicità o presenza di dipendenza. Meglio vietare, nel dubbio. E se qualcuno soffre nel frattempo? Pazienza.

Una sentenza contro la scienza

La World Health Organization (OMS) ha già dichiarato nel suo Cannabidiol Critical Review Report che il CBD:

  • non è una sostanza pericolosa
  • non crea dipendenza
  • non deve essere soggetto a controlli internazionali

In altri Paesi europei, gli oli al CBD vengono venduti come integratori alimentari o prodotti per il benessere. In Italia invece, si gira la manopola della repressione e si richiama in scena il ricettario proibizionista.

I veri effetti collaterali? Per i pazienti

Non sono i giovani ribelli a finire nel mirino. Ma i pazienti. Persone con dolore cronico, epilessia, infiammazioni, ansia, insonnia… che usavano oli al CBD leggeri, efficaci, legali.

L’Associazione Luca Coscioni ha definito la sentenza “un passo indietro” che “complica ulteriormente un settore già strangolato” da normative confuse e ideologiche (fonte).

Una scelta politica, non sanitaria

Lo chiamano “principio di precauzione”, ma sembra piuttosto principio di controllo. Perché quando uno Stato impone una ricetta per acquistare un olio che l’OMS considera innocuo, non tutela la salute: impone la sua narrativa.

Così, mentre la Germania discute di legalizzazione e altri Paesi aprono alla cannabis terapeutica con buon senso, l’Italia risponde con: paura, vincoli e ricette.

La salute usata come scusa

Il TAR ha applicato la norma. Ma la norma è il frutto di una scelta ideologica. E chi paga, ancora una volta, sono:

  • i pazienti
  • le farmacie galeniche
  • i medici che prescrivono con responsabilità

In Italia si continua a gestire la cannabis con logiche da anni ’50. Ma noi no. A Canapalandia non ci stiamo zitti.


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